Parole dal nulla- Cicalecci -Dialoghi tra insetti (con una cicala e una formica)

La terra rosso cupo del nulla è adornata da ciuffi d’erba diafana. I fili biancastri sono traforati come dei vecchi pizzi. Un’insolita vita brulica tra la polvere, una miriade di scarafaggi dello stesso colore della terra. Solitamente sono troppo in alto per vederli e le loro voci non giungono ai miei orecchi di gigante. Le loro gioie e i loro dolori non mi appartengono, io invece entro prepotentemente nelle loro vite uccidendoli o nutrendoli, scaldandoli o ferendoli.  Accucciata a terra provo a chiedere se sanno dove posso trovare la cicala o la formica a qualche dozzina di loro ma, disabituati al mio interessamento, scivolano via silenti. Guardo in cielo, dalla cortina spessa della nebbia non si scorge nessun gigante né benevolo né malevolo, poi mi ricordo che il mio problema non è nel cielo: io non riesco ad essere padrona non del mio destino in quanto essere umano finito ed effimero all’interno della natura, benigna o maligna che sia. Non mi angosciano alluvioni o terremoti, no, mi angoscia non avere un posto nella congregazione umana. Non riuscire ad organizzare un lavoro, ad essere un elemento produttivo che contribuisca alla crescita della società. Di quale società sto’ parlando? Sono sola in questo nulla, assieme ad altri fantasmi che si trascinano alla ricerca di una propria identità. Ma neanche questo è il vero problema. Non sono alla ricerca di una identità ontologica, sono alla ricerca di una identità monetaria.  Per quanto mi sforzi non riesco a farmi pagare il giusto per il lavoro che faccio, ad avere un contratto in regola e ad avere i contributi per la cassa previdenziale. Non ho ricevuto uno straccio di contributo da questa società di zombi per aver ampliato il loro menù avendo messo al mondo un figlio. E questo lavorando, facendo sacrifici, avendo raggiunto il massimo di preparazione che questa congregazione umana poteva offrire. Forse non sono abbastanza per avere il diritto all’esistenza? Che io sia mediocre? Può essere ma noi, generazioni di mediocri che si affannano alla ricerca di una sussistenza legale, abbiamo diritto alla vita? Guardiamo quei deficienti di mezza età che vivono felici nelle loro calde sicurezze e che ci sputano i loro preconcetti. Loro, accoccolati nelle loro pensioni, nei loro contratti a tempo indeterminato, nei loro congedi parentali e nelle loro casse di previdenza sociale. Fosca in questi pensieri non mi rendo conto che sono giunta nella zolla delle formiche laboriose. Odo da distante il fioco frinire di una cicala. La cerco e la trovo al bordo di una pozzanghera di fango. La cicala è sfinita, ammalata, la tosse le squassa il petto e gocce di sangue di insetto le bagnano l’addome. – Come stai? Le chiedo, come se fossimo vecchie amiche e le fossi venuta a fare una visita di cortesia. -Bene. Mi risponde lei, fingendo e coprendo con l’ala gli schizzi marroni. – Va tutto bene, cosa vuoi in questi momenti di congiuntura bisogna farsi forza. Noi siamo imprenditori di noi stessi, non dobbiamo abbatterci come quelle fannullone di formiche che appena le tira un pelo: Regina, mutua!! Lo sai cosa sono venuta a sapere?

-No, rispondo e il mio sgomento è sincero, ho davanti una cicala neo-liberista.

– Che l’età media delle formiche operaie si sta alzando, questo è dovuto all’alta frequenza dei pic-nic nella zona.

-Meglio, no?

-No, questo le porterà al collasso in quanto il sistema pensionistico non reggerà al prossimo carico di formiche pensionate. Inoltre le formiche quando smettono di lavorare diventano elementi antisociali che mettono in discussione le fondamenta stesse del formicaio. Vorrebbero ancora più assistenza sociale, ancora meno mercato. Te ne rendi conto? Quelle non valgono nulla, quanto resisterebbe fuori dal formicaio una di quelle? Nulla. Non valgono niente!  Io valgo, sono una cicala che si è fatta da sola, che vende anche sua madre per poter emergere e infatti l’ho venduta a quel ragno lassù.

Mi giro e vedo un orrendo bozzolo che penzola da una ragnatela sospesa tra due spunzoni. Del ragno non c’è traccia, ne chiedo informazioni alla cicala.

– Se ne è andato. Quelle protezioniste delle formiche, invidiose del suo successo come imprenditore, politico e presidente di una delle maggiori squadre di calcio del campo, ne hanno determinato la fuga. Questo prima che potesse pagarmi per mia madre, per giunta. Non le maledirò mai abbastanza. Maledette formiche!

Per aver ingiuriato con troppa foga verso le vendicatrici materne la cicala viene assalita da una serie violenta di colpi di tosse.

Finito il bombardamento di sangue di insetto la cicala sviene, la faccia riversa nel fango. Poco distante scorgo due formiche che litigano.

-Bisogna aiutarla poveretta, è in fin di vita. Dice una.

-No, insegna a raccogliere il grano non regalare grano. Risponde l’altra.

– Ma lavora quella, sono tutte fantasie che sia una cicala viziata, che pensa solo a cantare, che non vuole fare i lavori più umili e li lascia fare ai porcellini d’india. L’ho vista fare la traslocatrice, la barista, la statua vivente a dicembre a 0 gradi, l’impiegata.

– Non è questo, le manca la struttura sociale. Finché non capirà questo, non ci sarà nulla da fare.

– Ma come può creare una struttura sociale da sola? Dove sono le altre cicale?

– Fanno le imprenditrici di loro stesse.- Ride l’altra formica. – Come se potesse esistere un’impresa basata su un unico individuo. E’ come voler essere il cittadino di se stessi o l’unico membro di una famiglia: sono la famiglia di me stesso, guardatemi, non sono solo.

– Credi che l’essere tutte sorelle, zie o madri centri con il fondamento della nostra società? Chiede pensierosa la prima formica.

– Una formica santa diceva che tutti gli insetti sono nostri fratelli e sorelle.

– Pensavo fossimo una società atea. La rimprovera la prima formica.

– Era una citazione. Comunque non si può spiegare il concetto di sorellanza a una cicala che è la famiglia di se stessa, ricordati cosa ha fatto a sua madre, la signora cicala.

– Scusate. – Mi intrometto. – Ma allora non c’è niente che possa salvarci?

– Anche tu sei la famiglia di te stessa?

-No, per carità. Però dovete sapere che anche noi stiamo disintegrando il nostro stato sociale, non abbiamo più sindacati che ci rappresentano, l’evasione è talmente radicata che anche pretendere un contratto o il pagamento equo del proprio lavoro è diventato un serio problema.

– Fessi. Rivoltatevi, cambiate partiti alle prossime elezioni, costituite movimenti sociali, scendete in piazza. Noi formiche siamo sempre all’erta, pronte a bloccare il formicaio se le cose si mettono male. Solo con un lavoro equo, ben distribuito, ci può essere pace sociale.

– Lo penso anche io ma sono sola.

– Lo vedi  è una cittadina di se stessa.

Dice l’altra formica ed entrambe se ne vanno.

Cerco di inseguirle e distrattamente metto un piede sulla cicala schiacciandola e inzuppandomi la scarpa di fango. Inorridisco e mi fermo.

Non si può parlare con le formiche, non mi capiscono e la cicala ormai è andata. Mi pulisco le scarpe staccando il cadavere con un bastoncino, la lancio nella pozzanghera, le ali aperte galleggiano nella melma.

Continuo il mio viaggio nel nulla.